Carcere di Torino, Grimaldi (SEL), Artesio (Torino in Comune), Boni e Manzi (Radicali italiani): il Ministero non vanifichi per inedia le tante cose buone fatte in questa Casa circondariale
Torino, 30 gennaio 2017 – Dopo la visita al Carcere di Ivrea (TO) della scorsa settimana, Igor Boni e Silvja Manzi, della Direzione nazionale di Radicali Italiani, e Marco Grimaldi, capogruppo di SEL in Regione, si sono oggi recati in visita alla Casa Circondariale Lorusso e Cutugno insieme a Eleonora Artesio, capogruppo di Torino in Comune.
Il carcere ospita attualmente fra i 1280 e i 1350 detenuti, coerentemente con un aumento della popolazione carceraria nelle grandi città dove crescono povertà e disagio. La direzione ha sottolineato l’importanza di una distribuzione dei detenuti sul territorio regionale, che consenta di evitare situazioni di inciviltà e malessere, posto il principio della territorialità che va il più possibile salvaguardato. Al contempo, a differenza di altri istituti penitenziari, paiono diminuire i suicidi e gli episodi di autolesionismo, grazie a un forte investimento sulla prevenzione e la prima accoglienza, tramite la fornitura di un kit di prima necessità all’ingresso, ai colloqui di primo ingresso con gli educatori, alla scuola accoglienza ricca di attività ricreative, all’apertura dell’85% del circuito, ai corsi di formazione professionale, all’attivazione di circa 230-240 posti di lavoro con enti pubblici e cooperative, nonché alla convenzione sull’Articolazione per la tutela della salute mentale, attiva solo al carcere di Torino.
“Purtroppo gli enormi sforzi per aumentare i momenti di socialità, le attività diurne, il lavoro fuori e dentro al carcere si scontrano con la carenza di educatori (solo 14 per circa 1350 detenuti) e la fatiscenza di alcuni padiglioni” – dichiara Grimaldi. – “Come ha denunciato lo stesso Direttore e come abbiamo visto con i nostri occhi, la sezione A in particolare, che ospita inoltre il presidio sanitario e il reparto psichiatrico (Sestante), è un vero disastro. Le condizioni umilianti dei bagni a vista, unite all’odore di muffa e alle infiltrazioni, rendono indecorosa la vita di quegli uomini. Docce sporche, ascensori fermi ormai da anni e cascate di acqua dai cavedi aggravano ulteriormente il quadro. Ho parlato con alcuni detenuti mentre fumavano, mi hanno chiesto di fare qualcosa. Ciò che posso fare è rivolgere un appello alle autorità competenti affinché non vanifichino solo per inedia il buono che cresce in quel carcere. Il Ministero deve provvedere ai finanziamenti per sostituire gli ascensori guasti, rifare il cappotto esterno dove vi sono le infiltrazioni e consentire la presenza di un numero equo di educatori. E infine mi rivolgo alle aziende private, finora quasi del tutto assenti da questi luoghi, perché attivare rapporti di lavoro con i detenuti e le detenute può essere un’opportunità anche per loro”.
“Il Comune” – dichiara Artesio – “intrattiene molte collaborazioni con i programmi dell’istituto penitenziario, dalla promozione di attività occupazionali alla qualificazione del ‘tempo’ con investimenti culturali, alla nomina del Garante dei diritti. Abbiamo non solo la sensibilità, ma tutto l’interesse a che la dimensione carceraria sia, come dice la Costituzione, una fase di presa di coscienza e di riorientamento delle persone detenute”.
“Il Carcere di Torino” – aggiungono Manzi e Boni – “per la sua dimensione e il suo funzionamento potrebbe essere una struttura modello: a una gestione competente e intelligente, che ha abbassato le tensioni e diminuito le problematicità, si accompagna una fattiva interazione con la popolazione detenuta (di nuovo, purtroppo, a un livello ai limiti di guardia). La struttura obsoleta dell’Istituto, però, non consente un pieno ottimismo. Eredità di quell’infausta stagione di lavori pubblici inefficienti e pagati a caro prezzo, anche questo Carcere è ormai strutturalmente fatiscente, basti pensare alle barriere architettoniche presenti che lo rendono, di fatto, fuori legge. E vivere in una struttura degradata, per i detenuti come per chi ci lavora, non può che essere umanamente degradante. Si tratta di investimenti non più rinviabili”.