Articolo di Fabrizio Coscia pubblicato su Il Mattino, il 01/12/10
«Ero molto amico di Mario. Mi sono chiesto perché abbia lucidamente scelto una morte così violenta. Non conosco esattamente quali fossero le sue condizioni cliniche e come oncologo non posso fare una valutazione. Purtroppo non sempre un medico riesce a lenire la sofferenza di un paziente e in questo caso la condizione terminale doveva risultare insopportabile». Umberto Veronesi, oltre che oncologo di fama mondiale ed ex ministro della Sanità, è un cinefilo appassionato, sconvolto per la scomparsa del regista, che ha scelto un’eutanasia travestita da suicidio.
Prof. Veronesi, che cosa ha amato in particolare del cinema di Monicelli?
«Ho amato soprattutto la lucida e tagliente ironia con cui sapeva mettere a nudo l’amarezza della verità, e la sua capacità di svelarci, anche nella commedia, i lati più tragici o assurdi della realtà».
Che riflessioni ha suscitato in lei la scelta finale di Monicelli?
«Come pensatore laico e difensore dei diritti del malato, la mia riflessione è: se è ormai da tutti accettato che ognuno di noi, in ogni circostanza, ha il diritto di non soffrire, perché questo diritto non deve valere nella fase terminale della malattia, proprio quando la sofferenza può essere più intensa?».
Il regista, parlando del caso Welby disse che «l’eutanasia è un tema che si potrebbe trattare benissimo con la commedia». Che cosa ne pensa?
«Penso che Mario poteva, con la sua intelligenza, ironizzare su tutto per farci riflettere, e quindi anche sull’eutanasia. Certo nella realtà per i familiari e per i medici accettare di mettere fine alla vita, per quanto dolorosa o indignitosa, di una persona che si ama è comunque tutt’altro che ridicolo: è una decisione tragica. Ciò che sostiene il medico dal punto di vista deontologico e i familiari dal punto di vista affettivo è la volontà della persona e il rispetto per il suo pensiero. Per questo è importante che questa volontà sia sempre chiara e lucidamente espressa».
A questo proposito il presidente dei Radicali italiani, Silvio Viale, ha commentato il gesto del regista, dicendo che se in Italia fosse stata legale l’eutanasia, Monicelli non sarebbe morto così, ma in modo più dignitoso.
«Certo, è un dubbio condivisibile. L’eutanasia viene considerata come un atto di non-rispetto per la vita, ma a ben pensarci è al contrario un atto di rispetto per la vita fino al suo ultimo istante. Nei Paesi in cui è legale, l’eutanasia è la riposta alla domanda cosciente e ripetuta nel tempo da parte di un malato di porre fine ad un’esistenza che egli giudica non più degna e sopportabile, a causa della malattia. Altra questione è il testamento biologico, che è quasi all’opposto: si tratta delle volontà espresse anticipatamente, rispetto alla vita artificiale, da utilizzare nel caso in cui, per sopravvenuta incapacità, non ci si potesse più esprimere di persona».