In queste ore Vladimir Putin si prende la soddisfazione di mettere il dito nelle contraddizioni occidentali, denunciando la “persecuzione “ di Julian Assange, inseguito da accuse che poco hanno a che vedere con la vere intenzioni di chi lo vuole bloccare e possibilmente silenziare.
Oggi, nella giornata internazionalmente dedicata alla celebrazione della Dichiarazione dei Diritti Umani, a 62 anni dalla sua adozione da parte dell’ONU, credo necessario ricordare, almeno noi radicali, il caso emblematico del Laos, il paese maggiormente aiutato e sovvenzionato dalla Comunità Europea e tragicamente lasciato in mano ad una dittatura narco-comunista.
La Repubblica democratica popolare del Laos (RDPL) è, e purtroppo è rimasto, un paese dove il concetto di universalità dei diritti umani non è accettata, malgrado la sottoscrizione di tutte le Dichiarazioni, i Trattati e gli Accordi internazionali, posti a base, effimera ed ipocrita, delle relazioni interstatuali. Il regime ha sempre dimostrato un’assoluta intransigenza in materia di possibili aperture politiche e di libertà di espressione, di riunione o di protesta, facendo invece sempre ed in modo sistematico ricorso a intimidazioni, arresti arbitrari, detenzione e minacce per ottenere e mantenere il silenzio dei cittadini, della società civile, degli attivisti dei diritti umani e delle minoranze religiose.
Thongpaseuth Keuakoun, Sengaloun PHENGPHANH, Bouavanh Chanmanivong, Khamphouvieng SISA-AT e Keochay sono stati incarcerati per oltre 11 anni per aver tentato, il 26 ottobre 1999, una manifestazione studentesca pacifica e democratica, a favore della giustizia sociale e dei diritti umani (SISA-AT è morto in prigione nel 2001 a seguito delle torture subite). Il 2 novembre 2009, il regime ha arrestato circa 300 persone, fermate simultaneamente in diverse parti del paese, mentre erano diretti alla capitale Vientiane per chiedere giustizia e il rispetto dei diritti fondamentali. A tutt’oggi, nove fra uomini e donne sono ancora in carcere: Kingkèo (39 anni, madre di tre figli), Soubinh (35 anni), Souane (50 anni), Sinpasong (43 anni), Khamsone (36), Nou (54), Somchit (29 anni), Somkhit (28 anni) e Sourigna (26 anni). Il governo del Laos ha persino negato che qualsiasi tentativo di protesta abbia hanno avuto luogo nel novembre 2009, esattamente come nel 1999 quando hanno negato gli arresti dei leader del movimento degli studenti.
Vanida Thepsouvahn, Presidente del Movimento Lao per i Diritti Umani e membro del Consiglio Generale del Partito Radicale Nonviolento, Transnazionale e Transpartito, oggi, ancora una volta, sollecita il governo della RDPL ad attuare la Convenzione internazionale sui diritti civili e politici (ICCPR), ratificata dal Laos il 25 settembre 2009, e a rilasciare immediatamente e senza condizioni tutti gli arrestati in manifestazioni pacifiche e sollecita il governo laotiano a concedere all’UNHCR ed alle altre organizzazioni umanitarie uno accesso agli esponenti della popolazione Hmong rimpatriati a forza dalla Thailandia,
Noi siamo con lei.