3 nov. 2010
Igor Boni
COMMENTI. La legislazione del nostro Paese, che sulla protezione delle acque e sulla salvaguardia della salubrità dell’aria è al passo con quelle di altri Stati europei avanzati, rispetto al suolo paga un grave ritardo.
Il suolo, insieme ad aria e acqua, rappresenta uno degli elementi fondamentali dell’ambiente in cui viviamo. Malgrado questo, la legislazione del nostro Paese, che sulla protezione delle acque e sulla salvaguardia della salubrità dell’aria è al passo con quelle di altri Stati europei avanzati, rispetto al suolo paga un grave ritardo. Nella legislazione italiana, infatti, quando si parla di “difesa del suolo”, tutto si intende tranne che la protezione del suolo propriamente detto. La maggiore esortazione a produrre leggi di tutela ci viene dalla Commissione Europea. Nel settembre del 2006, anche grazie all’azione del radicale Marco Cappato, è stata emanata la “Strategia tematica per la protezione del suolo”.
Le principali minacce individuate sono: erosione, diminuzione della materia organica, contaminazione, impermeabilizzazione, compattazione, diminuzione della biodiversità, salinizzazione, inondazioni e smottamenti. A queste si aggiunge il tema della desertificazione derivante dalla concomitante presenza di differenti tipi di degrado che possono condurre a situazioni non reversibili. Il divario tra scienza e politica, tra conoscenze acquisite e scelte sul territorio, tra ecologia ed economia, tra sviluppo e salvaguardia delle risorse naturali, sono causa dello stato di degrado dei suoli italiani ed europei. Per comprendere appieno il livello del problema occorre fornire qualche dato. Il 7% del territorio nazionale è urbanizzato e in alcune regioni si sfiora il 10% (Lombardia, Puglia, Veneto e Campania).
Concentrandosi su superfici agrarie attualmente produttive, soprattutto in pianura, è facile notare come lo sviluppo infrastrutturale (industriale e commerciale innanzitutto) sia in una fase espansiva molto accentuata in tutte le aree peri-urbane e nei pressi dei principali assi di trasporto e di comunicazione viaria. Fa riflettere che alcuni comuni lombardi abbiano la maggioranza del proprio territorio impermeabilizzato; una analoga situazione si verifica nei comuni delle cinture di Napoli, Roma, Bologna e Torino. Molti degli oltre 8.000 comuni italiani stanno utilizzando le varianti ai piani regolatori per lottizzare nuovi territori e “fare cassa”. Nascono così, con una velocità ancor maggiore che negli ultimi anni, senza una razionale pianificazione, numerosi capannoni e nuove unità abitative. Il tutto accade in un paese dove il trend demografico è stabile. In Italia vi sono 54 siti contaminati di valenza nazionale riconosciuti (azione coordinata dal Ministero dell’Ambiente); ma sono certamente oltre 10.000 i siti contaminati sul territorio.
Gran parte di questi è sconosciuta alle autorità e nessuno si sta occupando della loro bonifica. Oggi si riaprono gli scontri su una singola discarica in Campania quando in quella regione non si ha assolutamente un quadro credibile della situazione; ufficialmente sono 1000 i siti contaminati censiti e il 50% delle discariche abusive concentrate nella provincia di Napoli e nel basso Casertano contaminano acque e suoli di tutta l’area. Che fare? Come altrove già accade, sarebbe opportuno giungere ad una normativa sulla protezione del suolo; una legge, che seguendo la strategia europea, riconosca al suolo le sue funzioni produttive, protettive e naturalistiche; una legge che ponga seriamente sul tavolo di chi propone nuove infrastrutturazioni indicazioni e valutazioni sulle potenzialità dei terreni che si eliminano per sempre. Occorre riconoscere che il suolo è un bene comune e metterlo in stretta relazione con l’ambiente e con le leggi urbanistiche. La metodologia della “capacità d’uso dei suoli”, elaborata e utilizzata da decenni negli Stati Uniti d’America, è uno strumento che permette di classificare i terreni a seconda delle loro capacità produttive agro-silvo-pastorali e che dovrebbe essere utilizzato e confrontato con gli strumenti urbanistici.
E’ con questa metodologia che si potrebbe finalmente giungere all’internalizzazione dei costi sul principio “chi inquina paga”. E’ infatti dal volano economico che si può giungere a comportamenti virtuosi che non si ottengo solo con la sensibilizzazione dei cittadini. Su questo esiste ormai da due legislature la proposta di legge radicale sulla “Protezione del suolo”. Potrebbe essere utile, proprio su questo progetto di legge, incalzare le altre forze politiche, a partire dal Partito Democratico. Nella prima metà del 1900 F.D. Roosevelt ammoniva: “La nazione che distrugge il suo suolo distrugge se stessa”. Quasi un secolo dopo, però, i nostri governi pare non l’abbiano ancora compreso.