L’Istat nel Rapporto 2012 fornisce dati che dimostrano come il consumo di suolo in Italia sia maggiore rispetto al resto d’Europa: il 7,3% del territorio contro una media Ue pari al 4,3%. Nell’ultimo decennio si è consumato suolo a un ritmo di 45 ettari al giorno. L’estensione di centri e nuclei abitati, complessivamente pari a circa 20.300 km2 è cresciuta dell’8,8% fra il 2001 e il 2011, ovvero di una superficie pari a quella della provincia di Milano. Lombardia (12,8%) e Veneto (12,7%) sono le regioni in cui è più estesa la superficie cementificata; Basilicata (+19%) e Molise (+17%) quelle in cui l’urbanizzazione è cresciuta di più.
Dichiarazione di Igor Boni (Presidente Associazione radicale Adelaide Aglietta – esperto in politiche ambientali)
Invertire la rotta è ineludibile se non vogliamo a un certo punto renderci conto che non abbiamo più territorio da coltivare e che tutta la retorica sul valore del paesaggio in Italia è solo aria fritta. Qui non si tratta di avere un approccio fondamentalista per dire che non si deve più fare nulla ma non vi è dubbio che la pianificazione urbanistica e ambientale deve tenere in conto che stiamo distruggendo una risorsa che non è più recuperabile. In più, molto spesso, la crescita spropositata delle edificazioni, dei poli industriali e logistici, avviene senza criterio e senza che ve ne sia reale necessità. Dobbiamo inserire il recupero dell’edificato esistente come punto fondamentale della pianificazione e dare valore ai suoli che vengono distrutti poiché eliminare un suolo significa – senza ombra di dubbio – creare un danno all’intera comunità in quanto si perdono i servizi che quel suolo fornisce (produzione di alimenti, filtraggio degli inquinanti, accumulo di acqua, etc). Dobbiamo inserire nella nostra legislazione un principio basilare: chi produce un danno deve pagare; solo la leva fiscale può infatti invertire questa pericolosissima tendenza autodistruttiva.